Chi è il Responsabile Tecnico dell’attività di panificazione e da dove deriva la figura?
Il Ministero dello sviluppo economico di concerto con il Ministero delle politiche agricole, alimentari, forestali e del turismo ed il Ministero della salute, nel 2018 ha emanato il Regolamento recante disciplina della denominazione di «panificio», di «pane fresco» e dell’adozione della dicitura «pane conservato». Di conseguenza la Regione Marche nel 2019 ha deliberato con la LR 17 del 27 giugno le caratteristiche riguardanti il Responsabile Tecnico dell’attività di panificazione.
Questa figura è la persona che sovrintende e coordina la produzione del pane in tutte le sue fasi, verifica il corretto approvvigionamento garantendo l’utilizzo di materie prime in conformità alle norme vigenti, monitora i processi di realizzazione dei prodotti dalla preparazione degli impasti alla cottura all’eventuale conservazione a basse temperature sia di semilavorati che di prodotti finiti in osservanza delle norme igienico-sanitarie e di sicurezza nei luoghi di lavoro. Per svolgere la propria funzione deve possedere una buona esperienza nella preparazione e lavorazione del pane e dei prodotti da forno, dispone di un’adeguata conoscenza della gastronomia nazionale (prodotti e ricette) e dei prodotti tipici delle tradizioni locali.
Ogni laboratorio che produce pane e prodotti da forno deve individuare il suo Responsabile Tecnico, che quindi sarà presente tanto nelle attività artigianali quanto in quelle industriale, oltre che nei reparti forno della GDO.
Requisiti professionali e formazione del Responsabile
Per poter ricoprire questo ruolo, sono previste tre diverse strade:
frequentare un apposito corso, della durata di 120 ore + esame finale di 8 ore, organizzato esclusivamente da Enti di formazione accreditati e con approvazione della Regione. Questo corso prevede almeno 48 ore di pratica da svolgere in affiancamento all’interno di un panificio.
sostenere solo l’esame finale per coloro che svolgono attività di panificazione da almeno tre anni.
ottenere la “Dichiarazione di esenzione” dall’Ufficio regionale competente per coloro che possiedono un titolo di qualifica come “operatore di panetteria” o equivalente e che lavora regolarmente come panificatore da almeno due anni.
A prescindere dal percorso di qualifica iniziale per l’ottenimento dei requisiti, ogni Responsabile deve poi aggiornare le proprie competenze frequentando seminari, workshop o corsi inerenti l’argomento, per una durata di 8 ore ogni 5 anni.
Chi lavora nel settore alimentare sa che il Corso HACCP è obbligatorio e negli anni ha sostituito il vecchio Libretto Sanitario. Il Regolamento CE 852/04 ha infatti stabilito che il responsabile aziendale, chiamato Operatore del Settore Alimentare OSA, deve assicurare che i suoi collaboratori siano debitamente formati e addestrati sulle prassi igienico sanitarie.
Sappiamo ormai bene anche che le modalità organizzative per questi corsi sono definite a livello regionale, perchè in Italia sono le Regioni ad avere competenza sulla formazione professionale.
Per questo motivo molto spesso agli operatori capita di farsi questa domanda: se ho frequentato il corso HACCP organizzato secondo le “regole” di una certa Regione, sarà valido nelle altre?
La risposta a questo dubbio sta nel cosiddetto principio del mutuo riconoscimento. Per dirla in modo semplice, quando un corso è organizzato in modo conforme ad una Delibera, deve essere considerato valido anche in territori dove si applicherebbe una diversa modalità.
Ovviamente per far valere questo principio è necessario che:
il corso sia stato erogato da un Ente accreditato in Regione per la formazione professionale
le modalità organizzative (durata in ore, contenuti, docenti…) siano conformi alla Delibera regionale di riferimento
tutte queste informazioni siano riportate nell’attestato rilasciato al corsista
Anche il Consiglio di Stato si è espresso in questo senso con la Sentenza n. 7346 del 24 novembre 2020, intervenendo su un caso che vedeva la Regione Campania contestare la validità di corsi HACCP erogati online da Enti accreditati presso altre Regioni, a causa della mancanza di un esame finale in presenza che invece è previsto appunto dalla Delibera regionale campana.
Il Consiglio ha motivato questa interpretazione non solo ricostruendo l’iter normativo dietro alla questione, ma anche perchè in assenza di questo principio ci sarebbe un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori. Il corso HACCP non è infatti un titolo abilitante per lo svolgimento di un mestiere, ma piuttosto uno strumento con cui gli OSA trasferiscono le conoscenze necessarie ai loro collaboratori. Sarà l’autorità preposta ai controlli, ovviamente, a verificare se tale conoscenza sia stata acquisita attraverso i controlli e le ispezioni sul luogo di lavoro, sia chiedendo le attestazioni che documentino l’avvenuta somministrazione dell’attività formativa, sia attraverso la verifica, in concreto, dell’attività svolta e della sua corrispondenza alle migliori prassi di igiene alimentare.
Per concludere, affidandosi ad Enti accreditati per la formazione professionale si ha sempre la certezza riguardo la validità degli attestati rilasciati. Fermo restando che una formazione di qualità oltre ad essere valida deve concretamente trasferire le competenze attese!
Data di scadenza o Termine Minimo di Conservazione?
Leggendo l’etichetta di un prodotto alimentare viene sempre spontaneo cercare la “data di scadenza”, per capire quanto tempo abbiamo a disposizione prima di dover gettare via il cibo in questione.
La scadenza viene spesso intesa dai consumatori anche come un “indicatore di qualità”. Quando il lasso di tempo previsto è breve, infatti, l’impressione è quella di trovarsi di fronte ad un prodotto genuino (un po’ come nel caso dell’etichetta con pochi ingredienti).
LA DATA INDICATA E’ DAVVERO UN SCADENZA?
La normativa parla di “scadenza” quando i prodotti possono, con il tempo, alterarsi e diventare pericolosi per la salute. In questo caso il produttore indicherà un limite oltre il quale l’alimento va tassativamente eliminato.
Dal giorno successivo a quella data, diventa vietato vendere e mangiare il prodotto in questione, appunto per proteggere i consumatori dai possibili rischi per la salute.
E’ facile riconoscere questa indicazione: si presenta infatti come una scritta che recita “da consumarsi entro gg/mm/aaaa“
E ALLORA QUANDO LEGGO DA CONSUMARSI PREFERIBILMENTE ENTRO?
Quando troviamo la parola “preferibilmente” vicino alla data, non siamo più di fronte ad una scadenza. Questa indicazione si chiama infatti “Termine Minimo di Conservazione“, più brevemente TMC.
Un alimento che ha superato il TMC non è scaduto.
I produttori possono usare il TMC per tutti quei prodotti che non diventano pericolosi col passare del tempo, e che quindi non rappresentano un potenziale rischio per la salute dei consumatori.
Il Termine Minimo di Conservazione indica il periodo entro il quale l’alimento conserva intatte tutte le sue caratteristiche, come se fosse appena prodotto. Superata quella data, entro un lasso di tempo variabile, il prodotto potrebbe iniziare ad avere qualche difetto senza però risultare pericoloso.
Ricordare questa differenza è fondamentale per evitare sprechi di cibo sia in casa che nella filiera di produzione e distribuzione. Nel 2016 è stata anche varata la Legge Gadda (L 166/2016) che ribadisce che questi alimenti possono essere donati a condizione che siano ancora integri e imballati.
Fondazione Banco Alimentare Onlus e Caritas Italiana hanno realizzato un Manuale di buone prassi operative per le organizzazioni che si occupano di recupero e distribuzione delle eccedenze, nell’ambito della filiera dell’aiuto alimentare. Il Manuale è stato validato dal Ministero della Salute a dicembre 2015, in conformità al Regolamento CE n. 852/2004.
Riportiamo qui di seguito le indicazioni riportate nel Manuale, utili per tutti.
Il legno ha affiancato generazioni intere, ha aiutato i nostri nonni a creare quella che chiamiamo “tradizione”, ed oggi, come un testimone, è parte del nostro presente. Abbiamo imparato a conoscerlo fino a poterlo impiegare nella preparazione, nell’imballaggio, nella conservazione e nel trasporto degli alimenti. Tuttavia, nonostante negli anni non ci abbia mai deluso, le sue proprietà igienico-sanitarie sono messe in discussione a causa delle caratteristiche naturali che possiede, ossia assorbimento e porosità.
Spesso e volentieri quando lo si trova in cucina o nelle sale dei ristoranti o dei laboratori di produzione alimentare, viene considerato sporco e poco igienico, e quindi l’operatore è accusato per il mancato rispetto dei requisiti igienico-sanitari.
Due problemi del legno: scarsa normativa e pregiudizio
Anche se il legno è incluso nei MOCA (materiali a contatto con gli alimenti), la sua scarsa normativa ne penalizza l’utilizzo e quindi ne aumenta il pregiudizio. Esso è infatti un materiale naturale e complesso, con caratteristiche diverse in base alla pianta dalla quale proviene, e non tutte le specie sono state analizzate e valutate nelle norme.
Abbiamo però i risultati di numerose prove scientifiche che ci mostrano una conclusione inaspettata, ossia il fatto che il legno possieda naturalmente una serie di proprietà igieniche che lo rendono adatto al lavoro nel settore alimentare.
Una maggiore consapevolezza circa queste evidenze consente:
alle autorità competenti di effettuare controlli più mirati
agli operatori del settore alimentare di lavorare con più serenità essendo consapevoli che non stanno infrangendo la legge
ai consumatori di gustare le pietanze proposte su un bel tagliere in legno senza preoccuparsi delle implicazioni sanitarie
Le valutazioni scientifiche
Il legno è un materiale naturalmente complesso che ha la capacità di interagire con il cibo come qualsiasi altro materiale.
Partendo dal presupposto che non esiste il materiale perfetto che risponda contemporaneamente ai requisiti di idoneità igienico-sanitaria, di comodità e di logistica, è essenziale conoscere le qualità proprie della materia per valutarne la compatibilità con l’uso.
Per decidere se un materiale sia idoneo o meno si devono valutare:
il tipo di alimento con cui andrà a contatto
la superficie e il tempo di contatto,
le condizioni operative come temperatura e umidità
In questo modo è possibile capire se ci siano criticità a livello microbiologico (permanenza di microbi pericolosi sul materiale), fisico (distacco di particelle che possono finire nel cibo causando ferite o soffocamento nel consumatore) o chimico (migrazione di sostanze nocive o capaci di alterare il sapore dall’oggetto all’alimento) Per questo motivo, si è confrontato il legno con altri materiali normalmente impiegati per lo stesso scopo, come l’acciaio o la plastica.
Dal punto di vista microbiologico, i risultati mostrano che gli altri materiali, a pari condizioni di lavoro, di pulizia, sanificazione e disinfezione, con le stesse specie di microrganismi e a pari condizioni di temperatura e umidità, al termine delle prove, non risultano essere più “puliti” del legno. Tra l’altro, oltre che mostrare simili caratteristiche igieniche, il legno presenta un naturale effetto antibatterico, rendendolo per certi versi anche migliore degli altri materiali testati.
Per quanto riguarda il pericolo chimico, ovviamente il legno destinato al contatto con gli alimenti non deve essere trattato con sostanze nocive nè appartenere a specie vegetali che contengono composti naturali potenzialmente indesiderati o dannosi per l’uomo. Ma fatta questa doverosa premessa, gli studi non hanno evidenziato rischi significativi legati alla possibile migrazione di sostanze chimiche indesiderate o peggio dannose, grazie anche alle modifiche che il materiale subisce durante la fase di asciugatura/essiccazione.
Sulla sicurezza legata al distacco di particelle pericolose come le schegge, infine, non ci sono grandi differenze o criticità rispetto a qualunque altro tipo di materiale duro e resistente. Ogni superficie destinata al contatto con gli alimenti deve essere ben mantenuta, facendo attenzione alla manutenzione e alla sostituzione quando necessario.
Conclusioni
È vero che il legno è un materiale naturalmente poroso e piuttosto assorbente, e richiede quindi attenzione e cura nell’uso e nella gestione. Però è anche vero che è un materiale con prestazioni comparabili ad altri e in più biologicamente attivo, e quindi le sue caratteristiche svantaggiose non sono tali da renderlo inadatto all’uso nel settore alimentare.
Una buona qualità di fabbricazione, buone pratiche di manipolazione e un’adeguata pulizia, rendono quindi il legno un materiale come un altro, adatto per la maggior parte delle applicazioni nelle imprese alimentari.
Per concludere: non esiste una legge che vieta l’uso di un determinato materiale (a meno che non si tratti di sostanze o materie palesemente nocive e pericolose), o che obbliga gli addetti di un settore a usare esclusivamente un certo materiale per la fabbricazione di oggetti (la classica frase “deve essere obbligatoriamente in acciaio”, per intenderci, non ha fondamento normativo). Quello che la legge vieta sono le cattive condizioni igieniche, le cattive abitudini e l’uso disattento e scorretto dei materiali e degli oggetti usati nel lavoro. Tutti aspetti che possono (e devono) essere gestiti in maniera semplice ed efficace con un valido Piano di Autocontrollo.
Il settore alimentare e tutto ciò che lo riguarda è da sempre uno dei motori della nostra economia e, diciamocelo, anche una nostra grande passione. La grande varietà di prodotti tipici, ingredienti unici e tradizioni locali rendono infatti le specialità alimentari italiane un mondo con infinite possibilità.
In tanti si cimentano tra le mura di casa in produzioni gastronomiche, per la gioia di amici e familiari: ma è possibile farlo diventare un lavoro?
Le voci sui laboratori e i ristoranti domestici, chiamati anche Home Food e Home Restaurant, sono molte e spesso contrastanti. Si parte da chi afferma che siano realtà nettamente vietate e si arriva a chi, al contrario, è convinto che si possano svolgere senza alcun particolare limite o percorso normativo.
La verità, come sempre, sta nel mezzo: se l’idea di trasformare la tua passione e capacità in cucina in un business ti affascina, sei nel posto giusto.
HOME FOOD E HOME RESTAURANT: UNA PREMESSA IMPORTANTE
La normativa specifica di questo settore è ancora per lo più in fase di evoluzione.Per questo motivo, oltre a tenere presenti i punti principali che valgono per tutti a prescindere, è fondamentale capire in quale Regione d’Italia risiedi.
HOME FOOD E HOME RESTAURANT: I PRIMI PASSI DA MUOVERE
La prima cosa da chiarire, è la differenza tra le due attività:
il Ristorante Domestico (Home Restaurant) è un’attività che prevede la somministrazione di alimenti e bevande, ossia la preparazione di pranzi, aperitivi, cene ecc che vengono serviti tra le mura di casa.
il Laboratorio Domestico (Home Food) rientra invece nel concetto di attività artigiana, dove i prodotti vengono preparati e confezionati per poi essere rivenduti a terzi, senza il consumo diretto dei clienti in casa.
Quindi, procedendo con ordine:
verificare che in casa ci siano effettivamente gli spazie gli allestimenti minimi necessari (Regioni diverse hanno linee guida diverse su questo punto)
capire bene quali tipologie di prodotti e servizi vogliamo offrire
organizzare gli aspetti amministrativi e fiscali confrontandoci con un Commercialista
effettuare le comunicazioni obbligatorie di inizio attività, la SCIA (al Comune per gli aspetti amministrativi e urbanistici) e la NIA (alla ASL per gli aspetti igienico sanitari).
predisporre e applicare sempre le buone pratiche igieniche di lavorazione. Questo aspetto non è solo di tipo comportamentale, va anche documentato con il Piano di Autocontrollo secondo il sistema HACCP
curare la corretta etichettatura dei prodotti che vendiamo come confezionati (torte, prodotti da forno, conserve, confetture…)
gestire in modo corretto tutto ciò che riguarda gli allergeni, sia nel caso di un ristorante che di un laboratorio domestico
DA NON SCORDARE MAI:
Home Food e Home Restaurant sono attività professionali vere e proprie, sebbene svolte in casa. Creando queste micro imprese avrai la possibilità di pubblicizzare il tuo servizio e gestire in modo legale i ricavi economici, ma dovrai rispettare tutti i requisiti di qualità e sicurezza che sono propri di un’impresa. Tra questi la responsabilità legale dei prodotti che somministri e vendi, e il rapporto con gli Enti di controllo come i Tecnici della ASL o i Carabinieri del NAS.
STAI PENSANDO DI APRIRE LA TUA IMPRESA ALIMENTARE DOMESTICA? CONTATTACI possiamo orientarti e assisterti in tutte le fasi necessarie di avvio e gestione
Regolamento UE 2021/382: modifiche ai criteri di igiene e sicurezza
Il 4 Marzo 2021 è stato pubblicato in Gazzetta il REG UE 2021/382, contenente modifiche al REG CE 852/2004. Sappiamo che il Regolamento 852/2004 riguarda i criteri di igiene dei prodotti alimentari, è quindi uno dei cardini del cosiddetto “Pacchetto Igiene” che dal 2006 ha determinato per tutte le realtà del settore alimentare l’obbligo di effettuare la valutazione del rischio su cui stabilire il Piano di Autocontrollo basato sul Sistema HACCP.
Il nuovo REG UE 2021/382 si inserisce in una serie di aggiornamenti che la normativa europea sta ricevendo per modernizzare e armonizzare alcuni aspetti relativi alla gestione sicura dei prodotti alimentari. Sono infatti in previsione nel prossimo futuro la revisione del General Food Law, ulteriori modifiche al Reg. CE 852/2004 e anche al REG. UE 1169/2011.
Quali sono quindi le novità per gli Operatori del Settore Alimentare?
GESTIONE DEGLI ALLERGENI: contenitori, attrezzature e veicoli utilizzati per la raccolta, il trasporto, il magazzinaggio, la manipolazione e la trasformazione di prodotti con ingredienti allergenici (allegato II Reg. UE 1169/2011) non devono essere usati anche per prodotti che non contengono tali sostanze, a meno che non siano stati puliti e controllati almeno per verificare l’assenza di residui visibili.
Con questa indicazione, certamente si vuole andare a risolvere il problema della dicitura “può contenere tracce di” a causa delle contaminazioni crociate.
RIDISTRIBUZIONE DEGLI ALIMENTI Si potrà cedere alimenti in forma di donazione alimentare, dopo aver verificato in modo oggettivo che questi sono ancora in uno stato adatto al consumo.
CULTURA DELLA SICUREZZA ALIMENTARE Gli Operatori del Settore Alimentare devono istituire all’interno dell’impresa una cultura della sicurezza alimentare adeguata, fornendo delle prove per dimostrarlo. Ci deve quindi essere l’impegno sia dei dirigenti che dei lavoratori a produrre e distribuire in modo sicuro gli alimenti, con la dovuta consapevolezza dei pericoli legati alla sicurezza alimentare. Si dovrà inoltre stabilire in modo chiaro ruoli e responsabilità delle persone addette al lavoro, garantire che il sistema di gestione rimanga sempre aggiornato rispetto alle modifiche operative che il lavoro subisce, che i controlli siano eseguiti puntualmente e tutta la documentazione sia sempre aggiornata. Infine, ma non per importanza, al personale va garantita la formazione e la supervisione adeguate.
Appare chiara dunque la volontà di fare in modo che tutte le realtà della filiera alimentare si muovano sempre di più nell’ottica di creare un sistema di gestione vero e proprio, basato su decisioni razionali e condivise da parte sia dei titolari che dei lavoratori. Naturalmente, tenendo conto della natura e delle dimensioni dell’impresa alimentare in questione.
Cosa fare, dunque?
Il nuovo Regolamento entra in vigore il 24 Marzo 2021. Rimanendo in attesa di eventuali note o direttive applicative specifiche che potrebbero arrivare a breve, il primo passo è verificare se nella propria impresa ci siano già i presupposti su cui integrare i nuovi requisiti. In caso negativo, occorre mettersi in moto: non tanto per evitare multe, ma anche e sopratutto per iniziare finalmente a godere dei benefici che un Autocontrollo ben impostato comporta per l’impresa e per i consumatori.
Quando si decide di aprire un locale che fa preparazione e somministrazione di alimenti, sono molte le questioni da tenere in considerazione.
Mentre troviamo molto materiale sugli aspetti normativi e burocratici (autorizzazioni, regolamenti da rispettare…), c’è qualcosa che invece viene messo poco in risalto, se non tra gli addetti ai lavori.
Quando parliamo di layout nelle cucine (ma più in generale negli ambienti di lavoro), ci riferiamo allo schema con cui si organizzano gli spazi.
Per prevenzione incendi intendiamo invece il complesso delle attività finalizzata alla prevenzione del
rischio e/o finalizzate ad evitare il sorgere di incendi.
In linea generale quindi, in questo articolo ti daremo indicazioni su come disporre impianti, attrezzature, piani di lavoro e aree di lavoro.
Errori di progettazione e valutazione su questi aspetti possono portare a problemi molto concreti sull’intera attività:
problemi di conformità alle normative vigenti
conseguenze civili e penali in caso di incidenti
difficoltà nel gestire i flussi di lavoro
rallentamento delle linee durante il servizio
costi aggiuntivi e non necessari per “rimediare” alla situazione
Layout cucina: igiene, sicurezza e qualità
Il settore alimentare nel nostro Paese si basa su due punti saldi: la qualità e la sicurezza attraverso la prevenzione.
Ogni Operatore che decide di lavorare in ambito alimentare, sa che dovrà strutturare la propria impresa senza perdere mai di vista questi due aspetti fondamentali (oltre ovviamente a tutto il resto!).
Da dove si parte? Dalla base, ossia dalla tipologia di attività. Con che prodotti andremo a lavorare (carne, pesce…)? Avremo una cucina espressa e artigianale o punteremo su lavorazioni gourmet? Di quante linee di lavoro avremo bisogno (crudo, cotto…)? Rispondendo a queste domande, avremo già un’idea di partenza sullo spazio di cui avremo bisogno, sulla tipologia e le caratteristiche degli impianti e delle attrezzature.
Sicuramente, a prescindere dal tipo di locale, dovremo progettare tutto tenendo conto del concetto “a marcia avanti”.
Uno dei principi di sicurezza alimentare, infatti, sta proprio nella creazione di un flusso lavorativo che sia quanto più possibile unidirezionale, che parta cioè dalla materia prima, passi attraverso le fasi di lavorazione e si chiuda con l’uscita del prodotto pronto.
Per essere rispettato questo presupposto, tutto il layout va realizzato immaginando appunto le fasi di lavoro e i movimenti fisici degli addetti.
Altro aspetto fondamentale, dovremo costruire il nostro locale rendendo il più semplici ed efficaci possibile:
le operazioni di pulizia e sanificazione (scelta dei materiali e delle finiture, riduzione degli spazi inaccessibili…)
il controllo e la prevenzione della presenza di animali indesiderati (insetti volanti e non, roditori…)
Layout cucina: la prevenzione incendi
I luoghi di lavoro si classificano ai sensi dell’Allegato IX del DM 10/03/1998. Attività a rischio incendio medio sono quelle aziende e lavorazioni nelle quali si producono, si impiegano, si sviluppano e si detengono prodotti infiammabili, incendiabili o esplodenti (Rif. Tabella A DPR 689/1959) e aziende e lavorazioni che per dimensioni, ubicazione ed altre ragioni presentano in caso di incendio gravi pericoli per la incolumità dei lavoratori.
Di seguito se ne riportano alcune a mero titolo esemplificativo:
Molini per cereali ad alta macinazione con potenzialità superiore ai 200 q.li nelle 24 ore;
Produzione di surrogati di caffè;
Aziende nelle quali si fa impiego di pellicole infiammabili;
Autorimesse pubbliche;
Attività esercitate in locali costruiti prevalentemente in legno o con solai o scale in legno, nelle quali sono occupati contemporaneamente oltre 15 addetti;
ed altre 56 tipologie…
Attività a rischio incendio basso sono invece quelle tutte le attività non classificabili a medio ed elevato rischio e dove, in generale, sono presenti sostanze scarsamente infiammabili, dove le condizioni di esercizio offrono scarsa possibilità di sviluppo focolai e dove non sussistono probabilità di propagazione di fiamme.
A COSA QUINDI DOBBIAMO STARE ATTENTI?
La zona o locale del ristorante soggetto al controllo dei Vigili del Fuoco potrebbe essere la cucina.
Infatti, potrebbero essere sottoposti ai controlli da parte dei Vigili del fuoco in caso di presenza di un locale cucina provvisto di un impianto di produzione di calore alimentato da combustibile solido, liquido o gassoso con potenzialità superiore a 116 kW (attività n. 91 del D.M. 16/02/1982).
Quindi la prima cosa da fare per una corretta valutazione, è quella di calcolare la potenza termica complessiva della cucina.
CHE COS’È LA POTENZA TERMICA?
La potenza termica è in buona sostanza la somma della potenza di tutti gli apparecchi termici alimentati tramite combustibile (metano o glp che sia).
In base alla somma di cui sopra, le cucine dei ristoranti si possono suddividere in:
Cucine con portata termica complessiva non superiore a 35 kW(30.000kcal/h): si applica la norma UNI CIG 7129/2015;
Cucine con portata termica complessiva maggiore di 35 kW (30.000kcal/h): soggette all’applicazione della regola tecnica di prevenzione incendi degli impianti termici e per esse di applica il D.M. 12/04/1996 e s.m.i.;
Cucine con portata termica superiore a 116 kW (100.000 kcal/h): si applica il D.P.R. 151/2011, che richiede l’esistenza del “Certificato di prevenzione incendi (prima CPI ora )” unitamente al D.M. 12/04/1996 “Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, la costruzione e l’esercizio degli impianti termici alimentati a combustibili gassosi”.
In ogni caso, a prescindere dall’assoggetabilità o meno ai controlli di prevenzione incendi da parte dei Vigili del Fuoco, se la potenzialità termiche superano la soglia di 35 kW, il titolare è tenuto obbligatoriamente ad osservare la norma di cui al DM 12/04/1996 ” Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, la costruzione e l’esercizio degli impianti termici alimentati da combustibili gassosi”.
I REQUISITI ANTINCENDIO DELLE CUCINE
Tale norma fornisce i requisiti che il locale e gli impianti devono possedere:
Almeno una parete, di lunghezza non inferiore al 15% del perimetro della cucina, deve essere confinante con spazio scoperto o con intercapedine ad uso esclusivo;
I locali devono essere dotati di una o più aperture permanenti di aerazione realizzate su pareti esterne; è consentita la protezione delle aperture di aerazione con grigliati metallici, reti e/o alette antipioggia a condizione che non venga ridotta la superficie netta di aerazione;
Le aperture di aerazione devono essere realizzate e collocate in modo da evitare la formazione di sacche di gas indipendentemente dalla conformazione della copertura;
Le superfici libere minime di aerazione vanno calcolate in funzione della portata termica complessiva; a tal fine devono essere sommate le potenzialità di tutti i bruciatori a gas presenti nell’ambiente (fornelli, bistecchiere, friggitrici, forni, ecc);
Le strutture portanti (solai, pilastri e travi) devono possedere resistenza al fuoco non inferiore a R120, quelle di separazione (muri e porte) da altri ambienti non inferiore a REI120; per impianti di portata termica complessiva fino a 116 kW sono consentite caratteristiche R/REI 60;
È consentita la comunicazione con altri locali, pertinenti l’attività servita dall’impianto, tramite disimpegno anche non aerato; in particolare il locale cucina ed i servizi accessori (lavaggio stoviglie, dispensa, spogliatoi, ecc) possono essere considerati facenti parte di un unico compartimento separato, da altri locali pertinenti l’attività servita dall’impianto;
La comunicazione tra la cucina e locali destinati a pubblico spettacolo (ad esempio sala ristorante con musica e ballo), può, invece, avvenire esclusivamente tramite disimpegno (avente muri e porte di caratteristiche certificate REI) aerato direttamente su parete attestata all’esterno, indipendentemente dalla portata termica.
CI SONO ALTRE NORME APPLICABILI AI RISTORANTI?
Inoltre, non dobbiamo scordarci, che indipendentemente dalle norme di prevenzione incendi (applicabili o meno a seguito della potenza termica), la cucina è un luogo di lavoro e quindi ricade pienamente all’interno del campo di applicazione del Titolo XI del Decreto Legislativo N. 81/08 e sucessive modifiche ed integrazioni. Il gestore dell’attività di ristorazione dovrà anche garantire:
Vie di circolazione ed uscite, tali da consentire una rapida e sicura evacuazione delle persone presenti in caso di emergenza;
La verifica periodica dell’efficienza degli impianti, dei sistemi di evacuazione e degli eventuali rilevatori antincendio di fumo e calore;
La segnaletica di sicurezza, l’illuminazione di emergenza, i maniglioni antipanico se l’affluenza prevista è superiore a 100 persone;
L’eliminazione delle barriere architetoniche e realizzare un ambiente sicuro anche per le persone che hanno difficoltà motorie;
Se il locale è usato anche per manifestazioni classificabili come “pubblico spettacolo o intrattenimento” occorre applicare all’esodo le relative norme e chiedere un nulla osta specifico al Comune di compentenza.
IL PUNTO DELLA SITUAZIONE
Per concludere, quindi nel caso in cui l’attività la potenza termica complessiva, supera i 116 kW, rientra nelle attività soggette al controllo dei Vigili del Fuoco, per cui è necessario inoltrare al Comando Provinciale Vigili del fuoco territorialmente competente, una segnalazione certificata di inizio attività (se in categoria A) altrimenti va prima presentato un progetto.
Per farlo è necessario rivolgersi ad un professionista antincendio qualificato secondo l’ex 818-84 ed iscritto alle liste del Ministero dell’Interno, che progetterà tutte le soluzioni da adottare e produrrà tutta la documentazioni e certificazioni necessarie.
Layout cucina: la formula vincente
Per far riuscire al meglio il nostro progetto, non è sufficiente conoscere le normative e avere le competenze necessarie per valutare tutti gli aspetti citati finora.
La formula veramente vincente, consiste nel gestire il progetto in gruppo, mettendo quindi insieme le capacità dei tecnici con quelle dell’operatore che andrà a “dirigere” la cucina in questione.
Con questo lavoro di squadra, sarà possibile ottimizzare tutto il necessario per realizzare davvero un grande progetto, coniugando la sicurezza e la conformità alle normative alle esigenze funzionali dello Staff.
Articolo redatto in collaborazione da: Dott.ssa Sara Giammarini – Biologa Ing. Giuseppe D’Aria
DESIDERI MAGGIORI INFORMAZIONI?
STAI PENSANDO AL TUO LOCALE E
NON HAI ANCORA OTTIMIZZATO IL LAYOUT?
COMPILA IL FORM, VERRAI RICONTATTATO AL PIU’ PRESTO
Tutti i parassiti, in natura, passano attraverso diverse fasi e stadi di sviluppo all’interno di organismi diversi, detti “ospiti intermedi”. L’ultimo stadio avviene in quello che si chiama “ospite definitivo”, in cui il parassita raggiungere l’età adulta, si moltiplica e diffonde nuovi esemplari che seguiranno lo stesso ciclo. …