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Anno: 2018

Contaminazione chimica: metalli negli alimenti?

Contaminazione chimica: metalli negli alimenti?

 

Contaminazione chimica: metalli negli alimenti?

In natura sono presenti molti elementi metallici, ad esempio nel suolo, nell’acqua o nell’atmosfera.
Quando però parliamo di contaminazione chimica da metalli, intendiamo qualcosa di diverso. Ci riferiamo infatti alla presenza negli alimenti di residui che derivano dall’ambiente esterno o da attività umane (sia come inquinanti che come risultato di lavorazioni particolari).

Contaminanti metallici e sicurezza alimentare: in che modo sono pericolosi per l’uomo?

Mangiare un cibo che contiene metalli in quantità superiore ai livelli di sicurezza consentiti, può non essere sufficiente a farci ammalare nell’immediato.
A seconda della tipologia del metallo in questione e della sua quantità relativa nell’alimento, possiamo infatti avere due diversi scenari: l’intossicazione acuta oppure cronica.

Nel primo caso infatti, parliamo di un avvelenamento causato dalla elevata quantità di sostanza tossica ingerita, mentre nel secondo siamo di fronte al cosiddetto “bioaccumulo“.
Alcuni metalli pesanti tendono infatti ad accumularsi nel nostro organismo mano a mano che li assumiamo attraverso l’acqua o gli alimenti, perchè non siamo in grado di eliminarli (in tutto o in parte) attraverso il metabolismo.

Dato che il corpo umano ha bisogno di una certa quantità di elementi metallici fondamentali per regolare il proprio metabolismo e diverse funzioni, il bioaccumulo si verifica facilmente quando assumiamo una eccessiva quantità di quelle tipologie metalliche.

Per questo motivo, i livelli di guardia per l’assunzione dei diversi metalli è molto diverso.

ELEMENTO DOSE SETTIMANALE
TOLLERABILE
RIFERIMENTI AVVELENAMENTO
ACUTO CRONICO
Alluminio 7 mg EFSA
  • danneggiamento del sistema nervoso centrale
  • demenza
  • perdita della memoria
    indebolimento
Mercurio 0,005 mg JECFA
  • alterazioni sviluppo fetale
  • aborto
  • alterazioni neurologiche
  • impotenza
Nichel 2 mg EFSA
  • cancro
  • malformazioni fetali
  • disturbi cardiaci
Piombo 0,025 mg JECFA
  • insufficienza renale acuta
  • danni cerebrali irreversibili
  • anemia aplastica irreversibile
  • crampi intestinali
  • blocco nella sintesi del gruppo eme
  • deficit cognitivi nei bambini
  • accumulo nelle ossa
Cadmio 0,007 mg JECFA
  • lesioni dell’apparato riproduttivo maschile
  • osteomalacia
  • lesioni ai tubuli prossimali del rene
  • frattura spontanea delle ossa
  • mialgia
  • accumulo a livello epatico

 

Come arrivano i contaminanti metallici sugli alimenti?

Già nelle prime fasi di produzione della filiera possono verificarsi contaminazioni dei prodotti alimentari, dovute all’ambiente in cui viene effettuata la coltivazione o l’allevamento.
Ad esempio, tanto l’acqua usata per l’irrigazione, quanto i fertilizzanti o i trattamenti con fitofarmaci possono infatti apportare una quantità di metalli che viene quindi assorbita dai vegetali, e spesso accumulata nei frutti o nelle foglie.
Per quanto riguarda gli animali, accumulano i contaminanti attraverso l’alimentazione (come noi), ed il discorso si lega quindi con le produzioni vegetali per quanto riguarda i foraggi ed i mangimi.

Proseguendo lungo la filiera, frequentemente la contaminazione può verificarsi attraverso la migrazione di sostanze dai contenitori, dalle attrezzature e dagli utensili impiegati nella lavorazione, nel confezionamento e nel trasporto dei prodotti.
La sempre crescente attenzione al settore dei materiali destinati alle lavorazioni alimentari ed ai relativi requisiti di sicurezza, è strettamente collegata anche a questo rischio di contaminazione.
E’ per questo che esiste un assetto normativo ben preciso anche per i cosiddetti MOCA (Materiali ed Oggetti destinati al Contatto Alimentare).

Allerta e Campagne di Richiamo

Come per altre situazioni, anche nel caso di presenza quantità di contaminanti metallici superiori ai livelli di guardia vengono attivate le Campagne di Richiamo, in modo da proteggere i consumatori dal pericolo di intossicazioni o avvelenamento.

Ricordiamo quindi che i comunicati vengono pubblicati sul portale del Ministero della Salute, e sono completi di tutte le informazioni necessarie per individuare la tipologia di alimento in fase di richiamo.

E’ inoltre importante attenersi ad una dieta variegata, in modo da differenziare la tipologia di alimenti consumati e contrastare (indirettamente) di conseguenza anche eventuali fenomeni di bioaccumulo.

BIBILIOGRAFIA:

 

 

CHIUSURA ESTIVA

CHIUSURA ESTIVA

Lo Studio resterà chiuso
dal 06 al 26 Agosto per la pausa estiva

Le attività riprenderanno regolarmente da lunedì 27 Agosto,
insieme alla programmazione dei Corsi di Formazione.

Per comunicazioni urgenti si prega di inviare una mail all’indirizzo:
info@giammariniconsulenza.com

Focolaio di Legionellosi a Bresso

Focolaio di Legionellosi a Bresso

 

Epidemia di Legionellosi a Bresso

In questi giorni, purtroppo, in una cittadina dell’interland di Milano si è scatenato un focolaio di Legionellosi.
Ad oggi, i casi di contagio sono 26, e sono già 3 le persone che hanno perso la vita a causa dell’infezione.

Naturalmente sono già all’opera le Autorità competenti per verificare la fonte di contaminazione e risolvere l’emergenza nel minor tempo possibile.
Dai primi risultati delle analisi l’acquedotto cittadino sembra sotto controllo, mentre alcuni campioni prelevati da una fontana e dall’appartamento di un contagiato, risultano positivi.

Diversi campioni sono stati prelevati anche da luoghi di aggregazione, come centri commerciali, dato che le vittime abitano in quartieri diversi della città.

Come si contrae la Legionellosi?

E’ importante ricordare che questo batterio vive in acqua, ma non è possibile contagiarsi bevendola, toccandola, o stando a contatto con persone già contagiate.
L’infezione avviene per via aerea, inalando goccioline di acqua contenenti il batterio.
Questo scenario è molto più comune di quanto possiamo immaginare: basti pensare al vapore che si sprigiona quando ci facciamo una doccia o laviamo i piatti, o a quello che inavvertitamente respiriamo quando passiamo vicino ad una fontana con giochi d’acqua o agli irrigatori di campi ed orti.

La Legionellosi, inoltre, è lo scenario più grave tra quelli che il batterio può causare nell’uomo.
Esiste infatti un’altra patologia causata dalla Legionella, nota come Febbre di Pontiac, che comporta malessere generale, cefalea e febbre.

La lotta contro la Legionella

Bresso aveva già avuto a che fare con alcuni casi di Legionellosi nel 2014, ed una delle preoccupazioni riguarda proprio capire il perchè si sia scatenato un nuovo focolaio.
Naturalmente le risposte potrebbero essere varie: una contaminazione di impianti pubblici a seguito di lavori di manutenzione, una rete idrica privata (ad esempio in case private o in attività commerciali) non adeguatamente sanificata, o anche una resistenza sviluppata dal batterio nei confronti di trattamenti che si erano rivelati efficaci fino ad ora.

Il controllo e la prevenzione nei confronti della presenza di Legionella è obbligatorio per molte realtà lavorative (ad esempio strutture ricettive come gli hotel).
La tipologia di interventi da attuare varia anche in relazione ai possibili scenari “a rischio” (pensiamo ad un parco acquatico o ad un centro commerciale con l’impianto di aria condizionata che sfrutta l’acqua per raffreddare).
Le strategie per prevenire la contaminazione (o l’eccessivo accumulo del batterio nell’impianto) sono molte.
E’ sempre bene affidarsi a tecnici per valutare i pro ed i contro, in base alle necessità e alla situazione.

Utilità:

Programma Legionella Free

Case History

ONU e OMS sono davvero contro il Made in Italy?

ONU e OMS sono davvero contro il Made in Italy?

 

ONU e OMS sono davvero contro il Made in Italy?

Negli ultimi giorni siamo stati invasi da titoli come
ONU e OMS possono mettere a rischio il prosciutto ed il parmigiano“, oppure
L’ONU dichiara guerra al parmigiano: pericoloso come il fumo“, ed ancora
Assurda crociata dell’OMS contro l’olio d’oliva“.

Come è naturale aspettarsi, affermazioni del genere hanno suscitato una forte reazione nei lettori e nei consumatori. Si è quindi scatenata, come sempre ormai, una reazione a catena nel web e nei social fatta di post, link e commenti via via sempre più accesi.
Ovviamente questo fenomeno ha innescato il classico effetto del “telefono senza fili“:
più la notizia si è sparsa, meno i contenuti apparivano chiari ed aderenti ai fatti reali dietro alla questione.

Falsa crociata contro il Made in Italy: da dove parte la notizia

Tutto nasce da un report del giugno scorso, “Time To Deliver“, in cui l’OMS ha presentato una serie di possibili raccomandazioni per ridurre l’impatto negativo sulla salute derivanti dal consumo di certi alimenti. Il prossimo 27 settembre a New York, in occasione della terza riunione convocata per valutare i progressi compiuti nella lotta alle malattie non trasmissibili, discuteranno anche di questo report.

Per chiarezza, una malattia non trasmissibile (NCD) è una condizione medica o malattia che non viene causata da agenti infettivi (non infettivi o non trasmissibili). Questo termine si riferisce quindi a malattie che durano per lunghi periodi di tempo e progrediscono lentamente.

Nel report possiamo infatti leggere che esiste un consenso internazionale sul fatto che le morti legate alla NCD possono essere ampiamente prevenute o ritardate. Questo è possibile lavorando su una serie di interventi economicamente convenienti, accessibili e basati su prove.
La preoccupazione relativa alle NCD è infatti tanto sociale quanto economica: le sole malattie associate a obesità e sovrappeso incidono mediamente in quota 25-30% sulle spese generali della sanità pubblica.

Made in Italy sotto attacco? non proprio.

Ciò che l’Assemblea Generale chiede, andando a ben vedere, consiste in:

  1. prendere misure per implementare la serie di raccomandazioni dell’OMS per ridurre l’impatto del marketing dei cibi malsani e bevande non alcoliche per bambini;
  2. considerare il produrre e promuovere più prodotti alimentari coerenti con una dieta sana;
  3. promuovere e creare un ambiente che consenta più comportamenti sani tra i lavoratori;
  4. lavorare per ridurre l’uso di sale nell’industria alimentare;
  5. contribuire agli sforzi per migliorare l’accesso e la convenienza di farmaci e tecnologie nella prevenzione e controllo delle malattie non trasmissibili;

Appare evidente come non ci sia nessun attacco diretto nei confronti dei prodotti tipici della cucina italiana.
Da dove nasce quindi la notizia?
C’è da dire che Stati Uniti ed Italia hanno espresso alcune opposizioni alle richieste dell’Assemblea, motivate dal fatto che non ci sarebbero prove sufficienti sul coinvolgimento di certi alimenti nelle malattie non trasmissibili, e che bisognerebbe invece promuovere un messaggio che spiega come qualsiasi alimento può far parte di una dieta sana.
Questo ultimo punto in particolare suscita una certa impressione: è ormai infatti noto che molti alimenti, per le loro caratteristiche nutrizionali, non possono essere considerati parte di una dieta sana.
Ma anche in questo caso, gli alimenti imputati non sarebbero di certo quelli tipici della tradizione italiana!

Quali conclusioni, dunque?

Certo è che molti degli alimenti e dei piatti nostrani sono calorici ed in alcuni casi piuttosto carichi in quanto a sale e grassi, e che l’introduzione di misure come la fantomatica “etichetta semaforo” potrebbe creare una percezione sbagliata.
Occorre sicuramente capire come, quando ed in che modo questo provvedimento verrebbe messo in atto.
In ogni caso diventa sempre più importante l’adozione di un’educazione alimentare che consenta ai consumatori di sapere quali sono le corrette quantità da assumere ed il vero significato della composizione nutrizionale dei tanti prodotti che quotidianamente acquistano e mangiano.

 

Sanzioni Etichettatura e Allergeni: le novità dal 09 Maggio 2018

Sanzioni Etichettatura e Allergeni: le novità dal 09 Maggio 2018

 

Sanzioni Etichettatura e Allergeni:
le novità dal 09 Maggio 2018

Il Decreto Legislativo 231 del 15 Dicembre 2017, ha definitivamente messo nero su bianco le sanzioni previste per le violazioni in materia di informazioni fornite ai consumatori di prodotti alimentari.

Dopo le prime anticipazioni dello scorso autunno, infatti, è stato definito nei dettagli il quadro sanzionatorio, che entrerà in vigore a partire dal 09 Maggio 2018.

Quali cambiamenti per i produttori?

Per chi produce e commercia alimenti confezionati a proprio marchio, non sono previsti cambiamenti relativamente alla tipologia di informazioni da riportare in etichetta.
La novità consiste nel poter essere sanzionati per irregolarità singole o multiple, relative a quali informazioni sono presenti ed a come esse siano messe a disposizione.

Qualche esempio:

  • l’assenza in etichetta di informazioni obbligatorie (Art. 9 del Reg. CE 1169/2011), prevede una sanzione da 3.000 a 24.000 euro;
  • l’errata denominazione dell’alimento comporta una sanzione da 2.000 a 16.000 euro;
  • indicazioni non corrette riguardo gli allergeni presenti nel prodotto, sono punite con sanzioni da 2.000 a 16.000 euro;

Per intenderci, se mettiamo in commercio una preparazione a base di frutta che non rispetta i criteri per poter essere denominata “confettura”, la violazione potrebbe costarci fino a 16.000 euro.

E per gli alimenti non confezionati?

Le Normative Europee e Nazionali prevedono una serie di indicazioni che devono essere fornite anche per gli alimenti non confezionati.
Ad esempio, una rosticceria che prepara e vende le lasagne, contorni e polpettoni, deve obbligatoriamente mettere a disposizione per ciascuno di questi prodotti:

  • denominazione dell’alimento;
  • elenco degli ingredienti con evidenza di quelli con potenziale allergenico;
  • indicazione del decongelato quando opportuno;

Queste informazioni possono essere riportate su un apposito registro (il famoso “libro ingredienti”) reso disponibile ai consumatori, in formato cartaceo o digitale.

Da maggio, se non si rispettano queste prescrizioni, si potrebbe essere sanzionati per importi da 1.000 a 8.000 euro.

Questo stesso discorso vale quindi per le attività che rivendono al consumatore finale alimenti non confezionati come pasticcerie, gelaterie, bar, stuzzicherie e gastronomie.

E gli allergeni nei ristoranti?

Dopo tanta confusione con cartelli unici, menù pieni di asterischi, informazioni verbali o totale assenza di indicazioni, gli obblighi restano gli stessi.
Chi somministra al consumatore finale prodotti alimentari, è tenuto a rendere disponibili le informazioni riguardanti gli ingredienti con potenziale allergenico (Allegato II del Reg. CE 1169/2011).
Da maggio, chi non rispetta questa prescrizione può essere multato con sanzioni da 3.000 a 24.000 euro.

Chi è l’Autorità Competente?

Il Decreto ha individuato l’Ispettorato Centrale Tutela della Qualità e Repressione Frodi come Autorità Competente per questo tipo di sanzioni.

Naturalmente, come già detto tante altre volte, il rispetto delle prescrizioni in tema di qualità e sicurezza alimentare non è solo una questione di sanzioni.
Il punto di partenza ed il fulcro centrale di tutto il Settore Alimentare resta il consumatore e la sua tutela.

Ma di fronte a certe potenziali sanzioni, prestare attenzione all’applicazione degli obblighi di legge sarà una tutela anche per la salute di tante Aziende!

Per domande e dubbi siamo sempre disponibili ai recapiti presenti nella sezione Contatti.

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1. 

Gli ingredienti con potenziale allergenico:

2. 

La sigla H.A.C.C.P. sta per:

3. 

Esempio di contaminazione fisica:

4. 

La rintracciabilità dei prodotti alimentari:

5. 

Il controllo degli animali infestanti:

6. 

Esempio di contaminazione chimica:

7. 

Quando parliamo di MOCA, ci riferiamo a:

8. 

Esempio di contaminazione biologica:

9. 

Un Punto Critico di Controllo (CCP) va fuori controllo:

10. 

Gli addetti che utilizzano i guanti in lattice per lavorare:

11. 

Quando si verifica una non conformità sui prodotti o in una fase di lavoro:

12. 

Il Piano di Autocontrollo aziendale:

Parliamo un po’ di glutine: cos’è? E’ vero che fa male?

Parliamo un po’ di glutine: cos’è? E’ vero che fa male?

 

Parliamo un po’ di glutine

Il glutine è diventato un protagonista quasi assoluto nelle discussioni a tema alimentazione. Spesso, inoltre, è al centro di messaggi contrastanti.
Infatti, mentre per i celiaci è necessario eliminarlo dalla dieta, c’è chi ne sconsiglia il consumo a tutti, anche in assenza di celiachia.

Ma che cos’è, di preciso, il glutine?

Chimicamente parlando è una sostanza composta da due proteine la glutenina e la prolammina (o gliadina) naturalmente presenti nei cereali.
Questo composto, per formarsi, ha però bisogno di acqua ed energia: quindi non è presente nella farina, si forma durante la lavorazione, quando viene idratata ed impastata.

glutine: chimica

Per questa sua caratteristica, ha una grande importanza nella lavorazione di molti prodotti.
Le farine sono più o meno adatte alla produzione di certi lievitati, proprio in base alle caratteristiche del glutine che possono formare.
Durante la lavorazione, infatti, si crea la maglia glutinica, che rende l’impasto elastico e resistente: questo gli consentirà di adattarsi alla contrazione dovuta all’azione dei lieviti.
Quanto più articolata sarà la maglia, tanto meglio l’impasto potrà lievitare.

glutine: maglia glutinica

Perchè per qualcuno fa male?

Quando mangiamo un cibo che contiene glutine, questo viene digerito e quindi spezzato in molecole più piccole.
Nel caso specifico, la digestione viene messa in atto da un enzima chiamato transglutaminasi.
Nelle persone predisposte, si formano degli anticorpi che reagiscono alla presenza dell’enzima e  si presenta una risposta immunitaria anomala che causa stati di infiammazione e sofferenza ai villi intestinali.
Per questo motivo le persone celiache escludono il glutine dalla loro dieta, in modo da non attivare questo meccanismo a livello dell’intestino.
Ecco perchè c’è sempre l’obbligo di segnalare in etichetta la presenza di ingredienti che contengono glutine, e perchè esistono norme specifiche che regolano l’utilizzo del richiamo “gluten free”.

La dieta senza glutine per i non celiaci

Abbiamo capito che chi soffre di celiachia ha la necessità di non assumere questa sostanza.
Ma sono molte le persone sane che decidono comunque di eliminare dalla dieta i cibi che lo contengono.
Spesso i consumatori sono convinti che questa sia una scelta sana e salutare.

In realtà, questa scelta alimentare può presentare diversi aspetti negativi, come il rischio di sviluppare carenza di alcuni micronutrienti, come il ferro, la vitamina B e l’acido folico.
Inoltre, i prodotti gluten free spesso contengono una maggiore quantità di grassi per mantenere la fragranza, e quindi non sono meno calorici del cibo tradizionale.
Un dolce senza glutine resta pur sempre un dolce, non va interpretato come un’alternativa dietetica.

 

 

La rivolta dei sacchetti ortofrutta biodegradabili

La rivolta dei sacchetti ortofrutta biodegradabili

 

La rivolta dei sacchetti ortofrutta biodegradabili

Sapevamo già da questo autunno (qui il precedente articolo), che dal primo gennaio 2018 sarebbe entrato in vigore il provvedimento che rende obbligatorio l’utilizzo di materiale biodegradabile e compostabile anche per i sacchetti leggeri nei reparti ortofrutta, macelleria ecc.

Ci eravamo lasciati con alcune domande, alcune senza una risposta, e ci ritroviamo adesso di fronte alla realtà.
Questa novità ha suscitato non poche polemiche tra i consumatori: siamo di fronte alla rivolta dei sacchetti.

Tantissime testate giornalistiche e blog si stanno occupando del caso in questi giorni, ed anche fonti ufficiali come i Ministeri dell’Economia e della Sanità si sono pronunciati con note e chiarimenti.
Per questo motivo, abbiamo deciso di dare un contributo diverso, creando una piccola raccolta FAQ sulla questione.

FAQ SACCHETTI ORTOFRUTTA BIODEGRADABILI
A PAGAMENTO

  1. In cosa sono diversi questi nuovi sacchetti?
    A differenza di quelli impiegati fino al 31 Dicembre 2017, i nuovi sacchetti sono biodegradabili e compostabili.
    Questo vuol dire che si possono smaltire completamente senza che rilascino sostanze inquinanti o pericolose.
    Inoltre, devono essere prodotti con almeno il 40% di materiale riciclato (percentuale che salirà, per step, nei prossimi anni).
  2. Perchè sono a pagamento?
    Il divieto di cedere i sacchetti ortofrutta biodegradabili in modo gratuito, come prima avveniva, è sempre in un’ottica ecologica.
    L’obiettivo del provvedimento, infatti, è ridurre l’inquinamento legato all’uso di buste in plastica, ed imporre un prezzo, seppur piccolo, fa assumere ai consumatori un comportamento più consapevole nei confronti dell’oggetto.
    E’ inutile negare che prima, molti clienti prendevano al supermercato una quantità di sacchetti da portar via e da utilizzare per altri scopi, proprio perchè questi venivano ceduti gratuitamente dai negozi!
  3. Posso riutilizzare i nuovi sacchetti ortofrutta biodegradabili?
    Sì, come per le shopper biodegradabili acquistabili in cassa, ormai divenute cosa comune, il sacchetto può essere riutilizzato per contenere i rifiuti della categoria “umido”.
    Ammesso che, una volta arrivati a casa, sia ancora integro!
  4. Posso portare da casa dei sacchetti invece che prenderli al reparto?
    Sì, è possibile. Ma, questi sacchetti dovranno essere nuovi e monouso, quindi non è consentito mettere gli articoli, ad esempio, in un sacchetto biodegradabile precedentemente utilizzato per lo stesso scopo.
    In pratica, bisognerebbe acquistare un rotolo di sacchetti da portarsi dietro per la spesa. Tralasciando la poca comodità di questa operazione, i costi sarebbero molto superiori all’acquisto della merce usando il sacchetto del supermercato.
  5. Quanto inciderà questa nuova spesa sulle nostre tasche?
    Dai conteggi effettuati dall’Osservatorio Assobioplastiche, il provvedimento dovrebbe portare un rincaro sulla spesa  pro capite dai 4,00 ai 12,00 euro circa all’anno.

rivolta dei sacchetti ortofrutta 1

rivolta sacchetti ortofrutta 2

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